I due campionati del mondo per eccellenza ci hanno regalato non poche emozioni, specialmente la MotoGP che, orfana del matador Marquez, ha dato vita ad una delle stagioni più improbabili di sempre. Nel mondo delle derivate di serie non sono mancati i colpi di scena, che alla fine hanno dato un solo risultato: la riconferma per la quinta volta di fila di Jonathan Rea su Kawasaki. Per quanto riguarda invece la MotoGP, la vittoria del campionato di Mir su Suzuki ha lasciato tutti piuttosto sorpresi.
Sebbene si tratti di due moto completamente diverse, cosa le accomuna? Partendo dal motore, entrambi i costruttori hanno vinto con una configurazione 4 cilindri in linea, ad oggi considerata preistoria se paragonato ai motori Ducati o Yamaha (MotoGP e Superbike). Inoltre, questa architettura motoristica permette di contenere maggiormente i pesi rispetto, ad esempio, ad un motore a V, che ha al suo interno un controalbero che smorza le forze vettoriali delle due testate.
Nel caso specifico del contesto MotoGP, sebbene Ducati abbia creato una moto veramente eccezionale e lo schema del motore a 4 cilindri a V garantisse l'ingombro laterale di un bicilindrico e l'erogazione di un quattro cilindri, la sua complessità costruttiva generale ha condizionato le performance per tutta la stagione. Da canto suo, Suzuki ha costantemente affinato un progetto basato sull'essenziale e sulla semplicità: unica MotoGP con forcellone in alluminio, utilizzato anche per il telaio, appendici aerodinamiche molto semplici se paragonate a quelle di Ducati e KTM, carenatura senza particolari fronzoli. La semplicità del progetto, assieme ad un efficace metodo di lavoro (gestito dal nostro Davide Brivio) hanno permesso ad un giovane uomo di 23 anni di conquistare il suo primo mondiale.
Per quanto riguarda il contesto Superbike, c'è poco da sentenziare: il titano Kawasaki, capitanato dal talento di Rea, ha schiacciato i sogni della casa di Borgo Panigale senza non poca fatica. In alcuni appuntamenti la Ducati V4R è stata nettamente superiore, ma la costanza dell'alfiere di Kawasaki è stata determinante per la sesta volta consecutiva. L'obiettivo è stato raggiunto grazie anche ad una moto (nata nel 2019) costantemente affinata ma concettualmente molto semplice (ed economica), se paragonata alla concorrenza: motore 4 cilindri in linea, telaio doppia trave pressofuso in alluminio, componentistica italiana (Brembo e Marchesini) nei punti giusti per un totale di 26.890 Euro; per una Ducati V4R sono necessari 39.990 Euro. Per l'acquisto di una Yamaha r1M servono "solo" 26.000 Euro, ma non ha componentistica Brembo. Pur di riequilibrare i valori in gioco, la FIM aveva imposto dei limiti ai giri motore massimi dei vari costruttori, con 16.100 giri/minuto per Ducati e "soli" 14.600 per Kawasaki. D'altro canto, questi limiti hanno permesso di vedere la complessiva bontà del progetto V4R con Rinaldi (Team indipendente Go Eleven) e la difficoltà delle ZX-10RR clienti. Non si fa peccato a pensare che la nuova Kawasaki ZX-10RR possa rimescolare le carte in tavola.
In questo burrascoso anno di corse, quale insegnamento ci lascia l'anno 2020? La semplicità e la costanza, assieme ad una quantità abbondante di talento, sono gli ingredienti essenziali per vincere campionati di ogni livello, siano essi titolo piloti o costruttori. Per quanto riguarda l'universo MotoGP, può essere l'inizio di una nuova era per la casa di Hamamatsu, che si spera possa trovare nella Superbike uno stimolo per aggiornare la GSX-R 1000, assente da troppi anni nelle derivate di serie (ma vincente nelle competizioni Endurance). Kawasaki invece potrebbe ripensare al suo impegno in Superbike: dopo 6 titoli consecutivi, si può provare a pensare ad un ritorno tra i prototipi. Solo il tempo può dirlo.