Come ogni anno, l'Isola chiede ed ottiene il suo tributo di vite umane. Stiamo ovviamente parlando del Tourist Trophy, la più famosa road race del mondo e che in questi giorni è balzata agli onori della cronaca non tanto solo per lo svolgimento delle varie gare in programma, peraltro funestate da maltempo e continui rinvia/variazioni al programma, quanto per gli incidenti che sono finora costati la vita a tre piloti (Jochem van den Hoek, Davey Lambert ed Alan Bonner), con la speranza che il conteggio si chiuda qui.
Altrettanto puntualmente, in presenza di avvenimenti tragici come questi, spuntano come funghi buonisti di ogni genere e paladini della sicurezza assortiti, che non mancano di puntare il dito su eventi come il TT, piuttosto che sulla Northwest 200, il Manx GP o il Macau GP, trascurando innanzitutto che il mondo delle corse su strada, specie nel Regno Unito, è un movimento ben più esteso, che comprende svariate altre gare, dalle varie Tandragee 100, Cookstown 100, Southern 100, Ulster GP a molte altre di caratura inferiore.
Il fulcro di tutto è la sempreverde domanda sul se non sia il caso di proibire queste manifestazioni, giudicate troppo pericolose. La risposta, se si pensa ai 255 morti che si contano solo nella storia del TT, sarebbe certamente positiva, salvo poi porla, a qualcuno dei molti piloti che vi partecipano, dai più titolati e pagati da squadre ufficiali, agli "ultimi", nel senso buono del termine, che qualifica appassionati che si sobbarcano di tutte le spese per moto, trasferta, iscrizione ecc pur di essere presenti.
Se anche uno come Joshua Brookes, che proprio uno scemo qualsiasi in moto non è, ha definito le road race un qualcosa a sé, di non descrivibile se non lo si prova, qualcosa significherà pure, no? A questo punto varrebbe la pena di proibire anche l'alpinismo, il free climbing o il base jumping, per dirne qualcuna a caso, sport che mietono più vittime delle corse su strada d'Oltremanica.
Invece no, perché queste discipline, al pari del gareggiare sul Mountain Course, piuttosto che sul Triangle o sul Dundrod Circuit sono, per chi partecipa, il coronamento di un sogno ed i sogni meritano di essere inseguiti. Sarebbe giusto privare queste persone di ciò che gli da più piacere nella vita? Nessuno obbliga i piloti di road race a correre, è una loro scelta, così come lo è quella di una pratica assai comune anche dalle nostre parti, quella delle corse in salita che, anche loro, ogni tanto, il loro tributo in termini di vite umane lo reclamano, per fare un altro esempio a caso, ma ce ne sarebbero a bizzeffe, da citare.
Normalmente si è abituati a dire che chi non va in moto non può capire le sensazioni che si provano stando in sella e probabilmente ha ragione Brookes nel dire che chi non ha mai corso su streada non riesce a calarsi totalmente nella parte. Di certo c'è che definire eroi i piloti del passato, specie remoto, quelli che correvano con una scodella di cuoio in testa su strade fatte di ciottoli e con moto che né frenavano né stavano in strada, salvo poi bollare le road race odierne come inutilmente cruente è forse il primo step verso una forma acuta di bipolarismo conclamato.
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