Il viaggio prosegue. Sveglia di buonora per partire, e verso le nove circa del mattino, sono già a sfoderare il mio repertorio di imprecazioni per il primo imprevisto della giornata, in quanto tutto bardato a puntino, col caldo che inizia a scendere anche al piano sotterraneo dell’autorimessa, la sbarra non ne vuole sapere di alzarsi. Chiamo al campanello ma nulla, non mi risponde nessuno, per cui manovre alla mano, passo tra una sbarra e l’altra e lascio la chiave nell’apposita casella. Fortuna che non avevo le borse laterali, altrimenti avrei dovuto smontarle/rimontarle per guadagnare un metro per passare.
Anche oggi quindi, giornata di trasferimento, conto di essere a Varsavia in tempo per fare un giro veloce della città, per cui decido di farmela tutta attraverso le autostrade, sapendo che sarà l’ultimo giorno di noiosa trasferta.
E la scelta è azzeccata, perché le autostrade polacche sono molto comode e veloci, due corsie larghe in cui a volte è presente anche una mezza corsia di emergenza sulla sinistra, 140km di limite e, devo essere onesto, automobilisti e camionisti molto disciplinati.
Varsavia, è una città che ti accoglie con una periferia tipica dell’era sovietica, fatta di selve di palazzoni distinguibili solo dal numero del “block” disegnato a caratteri cubitali sulle facciate. Per noi abbastanza deprimente, ma qui è la norma e presto ne avrò conferma girando la zona.
L’appartamento che ho scelto infatti, è all’interno di uno di questi palazzoni, totalmente ristrutturato nella parte privata, ma con un corridoio che conserva l’estetica puramente sovietica. Arrivo, sbaracco i bagagli e alzo la moto sul cavalletto centrale per legare alla sbarra del parcheggio la ruota posteriore e…
…e mi sa che la visita alla città salta…
Un bel chiodo di 2 cm mi saluta all’interno della scolpitura della gomma posteriore, per cui passo la successiva ora e mezza ad usare il kit di riparazione, per la terza volta in vita mia. Fortuna che ormai ho preso dimestichezza e, utilizzando le bombolette, riesco a portare la gomma ad una pressione decente per poter viaggiare. Oramai la giornata è persa, per cui decido di fare un giro cercando un benzinaio per arrivare alla pressione ottimale, non voglio perdere tempo il giorno dopo.
Riesco comunque a dare un occhio veloce a Varsavia girando in moto, mi da l’impressione di essere una città molto cosmopolita, con ampi stradoni e viali, un traffico deciso e moltissimi palazzoni di vetro in stile Matrix, una città di lavoratori. Con il senno di poi posso dire che ho senz’altro preferito perdere tempo per l’imprevisto saltando una visita in questa città, dato che comunque la città non mi ha ispirato a pelle molta simpatia.
Per cui mi vivo l’esperienza del quartiere ex-sovietico e programmo la tappa del giorno dopo.
Da Varsavia mi dirigo verso il confine della Bielorussia, passando per Zambrow, continuando come il giorno prima sull’autostrada per pura comodità. Minsk non sarebbe molto lontano, ma essendo fuori UE necessita di passaporto e (penso) visto, oltre a numerose limitazioni che avevo letto in passato. Non mi sono comunque informato molto, onestamente non vedo molti motivi per visitare questo paese via terra, ed in ogni caso, non in questo viaggio.
Lasciata l’autostrada mi dirigo verso Augustow, città all’interno del paese, verso il confine lituano, e qui ho una bella sorpresa sulle condizioni medie delle strade.
Se le autostrade, che fino ad ora ho percorso gratis, senza incontrare un casello e sono tenute alla perfezione, le strade extraurbane sono qualcosa di veramente scomodo. Il manto stradale è segnato letteralmente da solchi che sembrano binari, scavati dalle ruote dei camion, e sono impegnative da percorrere in quanto non puoi “danzare” all’interno delle corsie disegnando una traiettoria, ma sei obbligato a tener conto del dislivello e relativo gradino tra “i binari” ed il centro. A volte sembra talmente netto e verticale che non fa assolutamente voglia di provare a scavalcarlo.
Mi hanno poi spiegato che gli asfalti sono composti principalmente da bitume e poca sabbia, per cui durante il loro caldo estivo (per noi definirlo caldo è azzardato), i camion letteralmente affondano, e, quando incappano nella fila stradale, si fermano 50 metri prima dal veicolo davanti per avanzare piano passo dopo passo onde evitare di affondare…
Non tutti ci crederanno forse, ma la sensazione è quella, vista coi miei occhi e testata con le mie gomme.
Fortunatamente, ora la situazione in quelle zone va verso il miglioramento, anche grazie ai fondi europei che gli permettono di riasfaltare questi sedicenti binari, inserendo a questo proposito nuovo asfalto all’interno, cosicché molti tratti, sicuramente i peggiori, sono stati sistemati, ne rimangono tuttavia comunque alcuni in condizioni che, gli abitanti del luogo, definiscono buone.
Noto che in queste zone, la presenza di motocicli è molto ridotta, quasi inesistente, del resto hanno neve e ghiaccio per molti più mesi l’anno rispetto a noi e questo non invoglia di certo ad utilizzare le due ruote.
Condizioni del fondo stradale a parte, il paesaggio inizia a farsi boschivo, ed il confine lituano si avvicina, rendendomi impaziente di arrivare ed iniziare la parte più bella e selvaggia del tour.
Sono presenti moltissimi laghi lungo la strada, ed ogni tanto prendo una deviazione a caso per andare a visitarne uno di questi, perdendomi volutamente tra le varie stradine che partono dalla strada principale. Laghi piccoli, a volte lunghi solo qualche centinaio di metri, ma incantevoli e suggestivi.
Mi trovo cosi in Lituania nella zona dei laghi di Meteliai, subito dopo il confine, e decido di fermarmi a riposare un po’ ed anche per pranzare al volo, sfruttando una panchina lungo una strada secondaria, prima di continuare verso Alytus e poi la capitale.
Arrivo a Vilnius nel primissimo pomeriggio, prendo possesso dell’appartamentino all’interno di una villa in ristrutturazione, dove la proprietaria mi permette di parcheggiare la moto nel giardino interno, e mi dirigo velocemente a piedi verso la città vecchia, buttando anche un occhio curioso verso qualche ristorante che trovo sulla strada per passare la serata gustando un bel piatto tipico. È sabato pomeriggio e la città sembra deserta, solo la parte del centro storico è popolata da qualche turista, pochi italiani, ed un corteo di matrimonio.
La chiesa di Sant’Anna, monumento in stile gotico del 1500 e patrimonio dell’UNESCO, mi sembra la principale meta turistica, con qualche centinaio di visitatori e un paio di pullman parcheggiati di fronte. Sicuramente non è un luogo popolato da turisti come Breslava. La città è attraversata dal fiume Vilna, e l’impressione che mi faccio in poche ore di visita è di una cittadina, piuttosto che di una capitale, che si presenta circondata da una parte molto moderna, intervallata di tanto in tanto da qualche casa bassa e qualche villa tipica della zona. In ogni caso il centro storico è molto caratteristico, e ne approfitto per un buon aperitivo con birra e tagliere di salumi locali.
Voglio iniziare a tirare delle prime somme sul viaggio svolto fino ad ora, anche se non sono nemmeno a metà dei km previsti, la strada dietro di me è lunga e posso darvi qualche parere disinteressato.
Innanzitutto mi ha molto colpito il rispetto, l’educazione e la cordialità dei cittadini alla guida, per noi motociclisti questo punto è fondamentale, e qui sembra che gli automobilisti abbiano un senso innato di rispetto, quando vedono una moto nello specchietto retrovisore si scansano e fanno spazio per farla passare lungo la striscia bianca centrale, direi che da noi questo è un trattamento riservato solo alle ambulanze in emergenza e non di certo ai possessori delle due ruote.
I camionisti poi sembrano provenire da un altro pianeta, e qui forse andrò contro molti di voi o a quello che avete sentito dire da amici o conoscenti, visto come invece si comportano i camion con targhe di queste zone da noi… Ciò che posso affermare senza problemi è che i camionisti guidano rendendosi conto di essere grossi, pericolosi e di “intralcio” rispetto agli altri utenti della strada, per cui procedono tenendosi molto a destra e permettendo alle auto dietro di superare agevolmente, soprattutto quando la strada è una carreggiata unica a due corsie, oltre a quella di emergenza. Camminano letteralmente a cavallo tra quest’ultima e la normale corsia, facilitando i sorpassi agli altri automobilisti, e non ostacolandoli come accade spesso da noi.
Oltremodo impressionante è l’educazione civica stradale diffusa che ho riscontrato in questi 2000km di viaggio affrontati fuori dall’Italia, con auto che non svoltano senza guardare o mettere la freccia, pedoni che non si buttano in mezzo alla strada, sorpassi pericolosi ridotti ad un numero veramente esiguo.
Quanto ai paesaggi, i boschi dominano la scena, con lunghi rettilinei di decine di km tra basse colline ed alberi fitti come se fossero le setole fitte di una spazzola. Purtroppo, su queste strade boschive di tanto in tanto, e più spesso di quanto vorrei notare, vedo carcasse di animali investiti a lato strada, e più d’uno mi sembra sia stato investito da non molto, scene sgradevoli alla vista.
Penso al caso in cui, per pura sfortuna, dovesse capitarmene uno davanti, che vada a 80 o 100 all’ora poco importerebbe, sarebbe una spiacevole esperienza per me e per lui, per cui cerco di guidare con la massima attenzione possibile.
Christian, un ragazzo conosciuto virtualmente durante il viaggio, mi suggerisce in serata una strada per Riga al di fuori delle vie principali, e, sapendo che lui ha vissuto qui per diversi anni, colgo l’occasione per seguire i suoi consigli, passando la serata ad inserire nel navigatore tutti i punti per costruire un bell’itinerario.
La mattina riparto presto come mia abitudine, verso le otto circa sono già in sella, come gli ultimi giorni l’aria è fresca ed il sole caldo, senza l’ombra di una nuvola all’orizzonte. Mi dirigo verso Ignalina, paesino al confine con la Bielorussia, lungo la Strada Statale 102, tutta asfaltata perfetta, abbastanza ampia, dove non manca il piacere di guidare.
Paesini tipici si susseguono uno dopo l’altro, dove, ad un certo punto, dopo un bosco o dopo una radura, si intravvedono alcune case in legno, con le pareti colorate ed i tetti appuntiti, tipiche di questi paesi. C’è talmente tanto spazio di terreno in queste zone generalmente, che i giardini non sono nemmeno recintati, non c’è un punto preciso dove finisce una proprietà ed inizia l’altra, semplicemente il giardino di ogni casetta convenzionalmente finisce in un punto non delimitato.
Questo è il territorio della miriade di laghi e laghetti che si estendono in questa zona, a est del Labanoro Regioninis Parkas e a sud della parte est della Lettonia. Sono veramente innumerevoli, e vissuti con molta pace e tranquillità dagli abitanti del posto. Sembra quasi che sia perennemente giorno di festa per loro, immersi nella natura, senza pensieri, facendo canoa, mountain bike, escursioni a cavallo, o qualsiasi altro tipo di attività a contatto con la natura.
La centrale nucleare di Visaginas è un residuato dell’ex Unione Sovietica, entrata in funzione alla fine degli anni ‘70, con due reattori a fissione molto simili a quelli di Chernobyl, ma dalla potenza di 1.380 MW l’uno, i più potenti al mondo mai costruiti. A seguito del triste incidente ucraino, furono progressivamente spenti, e dal 2009 l’impianto è in fase di smantellamento con fondi europei.
Onestamente questo gran smantellamento non l’ho percepito; si, perché solo io turisticamente potevo andare a visitare questo luogo, senza nemmeno entrarci, ma solo per vederlo da fuori. E ciò che mi ha impressionato, non avendo mai visto una centrale atomica prima, è la sterminata distesa di tralicci dell’alta tensione (anche perché negli anni d’oro questo impianto produceva il 70% di tutta l’energia consumata in Lituania…) che si snodano a partire da circa 10 km, con la totale assenza di blocchi stradali ed indicazioni di divieti d’accesso. Sono riuscito a trovarla solo con coordinate GPS, e attraverso immensi stradoni mi hanno portato al parcheggio principale, dove due guardie di sicurezza su un’auto parcheggiata erano le uniche persone presenti in zona.
Trovarsi di fronte a ben due reattori a fissione, per me, appassionato della materia, è una grande emozione, e cerco di osservare quanto più possibile prima che i solerti guardiani mi facciano capire che è meglio non restare troppo lì. Evidentemente anche per loro è una situazione fuori dall’ordinario, vedere un turista su un KTM 1190 far visita al parcheggio esterno di un’ex centrale atomica sovietica.
Sia chiaro, non c’è nessun pericolo radioattivo ovviamente, ma il fatto che non ci sia nessun cartello dalla Strada Statale che indica l’impianto, fatta eccezione per una struttura sovietica in cemento con il nome, nello stile della classica architettura razionalistica, mi fa sorgere il dubbio che “preferiscono evitare troppa pubblicità”.
Faccio delle foto, dei video, poi bottone di accensione e torno sulla SS 102, direzione Lettonia e Daugavpils, che passo senza perdere troppo tempo, anche se forse, col senno di poi, avrebbe meritato una visita, essendo la seconda città per popolazione del paese.
Proseguo lungo il fiume Daugava, che da il nome alla città, e mi fermo a pranzare frugalmente con i miei soliti panini dopo la città, lungo una strada immensa che sembra più una pista di atterraggio di aerei. Arrivo ad una chiesa imponente, che scopro dopo essere una delle più grandi del paese, la ROMAN CATHOLIC CHURCH OF THE SACRED HEART OF JESUS IN LIKSNA. I dintorni sono completamente disabitati, non c’è anima viva e sono circa le ore 13.00. Decido di sdraiarmi a riposare qualche minuto su una panchina sotto ad un albero, godendo dell’ombra.
Riga si avvicina, e percorro alcune deviazioni lungo il percorso spinto dalla curiosità, un po’ casuale, di vedere l’entroterra Lettone ed i suoi paesini tipici.
Arrivando al residence, posto nel quartiere russo di Maskavas Iela, verso le 17.00, ho giusto il tempo di prendere possesso del mini appartamento da 18 metri quadri ed uscire a fare un po’ di spesa, forte del fatto che avrò tre giorni pieni da dedicare alla zona.
Dovrebbe essere un quartiere poco sicuro di Riga, pieno di case in legno risalenti al periodo sovietico, che la comunità russa è rimasta ad occupare; io giro tranquillo a piedi con la faccia del turista, ed onestamente non mi sembra un brutto quartiere, almeno durante il giorno. Il tram, numero 7 per raggiungere il centro, ferma proprio sotto il residence, uno dei più economici che ho trovato con parcheggio interno, qui la moto dormirà al riparo per due giorni.
L’indomani appendo il Dainese al chiodo e vesto i panni del turista con zaino, bottiglietta d’acqua e ombrello pieghevole dentro, pronto a visitare la città per tutto il giorno, adoperando i pochi minuti passati sul tram per osservare il quartiere, che a mio modesto parere, sembra ben tenuto, molto rustico ma ben tenuto.
Riga mi appare sicuramente come la più grande, affollata e cosmopolita capitale delle tre repubbliche. Ha decine di chiese, la cattedrale principale è una meraviglia, e la città vecchia, che si trova a nord est del fiume Daugava, è solo una minima parte del complesso urbano totale, che arriva fino al mare, nei pressi di Jurmala, considerata un po’ la “Rimini” degli ex sovietici.
Passo il giorno a vagare tra le vie del centro, mi gusto un pranzo tipico da Lido, catena di ristoranti self service del posto, provando i tipici Pelmeni, delle specie di ravioli ripieni del luogo dove si può scegliere a parte il condimento, e riesco anche a schiacciare un pisolo su una panchina in un giardino del centro. Il clima non potrebbe essere migliore, aria fresca e sole senza una nuvola. Orde di turisti girano per la città, molti gruppi di italiani, comitive di tedeschi e qualche giapponese. Rimango tutto il giorno nella città vecchia e riesco anche a visitare il mercato principale, in zona sud, verso la Maskavas Iela.
I prezzi qui sono poco turistici e quindi più economici, per fare un esempio, delle semplici alette di pollo condite, costano circa 1,5€ al kg, e ne approfitto per comprare qualcosa da cucinare.
Il secondo giorno salgo in moto e mi dirigo verso Jurmala, decidendo di dedicare una giornata al relax, alla spiaggia e magari facendo un tuffo nel Baltico, altra cosa che mi incuriosisce molto. Dopo circa 40 minuti, ed un ponte a pagamento di 2€, arrivo in questa località di mare nata durante l’impero sovietico, dove i benestanti russi un tempo passavano le ferie, essendo tutto territorio annesso all’Unione sovietica.
Negli anni, hanno costruito centinaia di ville, alcune più grandi, altre più piccole, che si snodano lungo tre vie principali parallele al mare. Un grande parco si trova nel centro della “zona vacanziera”, dove c’è una grande torre di osservazione che si staglia sopra le cime degli alberi di pino presenti in zona.
Mi hanno raccontato che, dopo la caduta dell’impero sovietico e l’indipendenza della Repubblica lettone, per i benestanti russi non aveva più senso impegnarsi a venire in Europa per soggiornare qui, in quanto considerato che le complicatezze burocratiche per l’accesso sono le medesime presenti in un qualsiasi altro posto in Europa, tanto valeva andare in altri luoghi europei. Per cui hanno iniziato a vendere in massa le proprietà, che si sono inevitabilmente svalutate. Non ho avuto modo di verificare questa cosa, mi attengo a quanto mi è stato raccontato dagli abitanti del luogo.
Riesco anche a fare un tuffo nel freddo e “dolce” Mar Baltico. Sì perché la salinità di queste acque è pressoché inesistente, sembra di fare il bagno verso giugno nel nostro Lago Maggiore, e anche la temperatura ricorda questo periodo. La spiaggia è lunga decine di km, ed è abbastanza affollata, con un discreto numero di persone che al mattino presto praticano il nordic walking, sport che consiste nella camminata veloce con le racchette.
La sabbia è bianca e finissima, ricorda vagamente quella della Sardegna, anche se la vegetazione è prettamente di acqua dolce. Un lauto pasto di pollo arrosto, patate e verdure varie ordinato presso un ristorantino sulla spiaggia, completano il quadro della giornata.
La mattina del terzo giorno, mi sveglio e scopro che il meteo è stato inclemente. Pioviggina, il cielo è grigio, e per nulla invitante; la mia idea di fare una visita ai castelli situati nei parchi a nord della città è svanita. Preferisco evitare di prendere più di un’ora di pioggia guidando la moto, modifico quindi il programma e decido quindi di fare una visita al museo del KGB che si trova nella parte nuova della città verso nord. Questo museo sorge all’interno dell’ex palazzo dei Servizi Segreti dove ai piani superiori risiedevano gli uffici ed ai piani inferiori le celle dei detenuti.
Mi muovo con i mezzi pubblici, sbagliando il numero del tram arrivo casualmente esattamente sotto il palazzo del KGB. La visita costa € 10, è presente una guida che parla inglese, e lo spettacolo è davvero impressionante e molto toccante. La persona che ci guida all’interno, è un ragazzo giovane, studente di storia dell’arte. Racconta al gruppetto come avvenivano gli arresti durante il periodo del regime sovietico. Gli arredi sono gli originali, i dettagli anche, la percezione di degrado è enfatizzata dal tempo che è passato, ma le foto dell’epoca non lasciano molto spazio alla fantasia.
Immaginate di tornare a casa dopo una giornata di duro lavoro, impazienti di passare una serata di relax con la vostra famiglia, quando ad un certo punto della cena, il campanello suona. Alcune persone in borghese vi dicono di seguirli per rispondere ad alcune domande. Venite portati in questo edificio in una macchina dai vetri scuri, spogliati dei vostri vestiti, senza che nessuno vi dia spiegazioni al riguardo. Le prime domande riguardano le vostre generalità, rimanendo sempre nudi, davanti all’addetto che vi scruta. Dopodiché venite portati all’interno di celle molto piccole, circa un metro quadro, dove rimarrete per un tempo che va da due a cinque giorni. Nelle successive settimane rimarrete in celle più grandi insieme ad altre persone, e non vi converrà raccontare nulla, poiché il vicino potrebbe pensare di barattare la sua libertà in cambio della vostra storia. Celle di detenzione, dove la luce rimane sempre accesa, e non è possibile dormire senza il permesso delle guardie. In una cella di circa 30 metri quadri, possono stare imprigionate fino a 25 persone. Circa 200 mila persone, durante tutti gli anni del comunismo, sono transitate da queste celle, e circa 120 sono state fucilate qui, dopo un processo sommario. I gulag erano la via di uscita principale, mentre i più fortunati, tornavano alle loro famiglie con l’obbligo di non raccontare nulla sull’accaduto. Ricordiamo che, tutto questo, avveniva spesso senza un minimo di prova documentata, ma basandosi solo su segnalazioni di altri cittadini.
Fortunatamente smette di piovere nel pomeriggio, e posso girare ancora alcune zone della città che il giorno prima ho saltato, pensando ai successivi due giorni, in cui mi sposterò verso l’isola di Saaremaa e la città Kuressaare.
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