Che siano sportivi, attori, cantanti o altro se si parla di esseri umani, piuttosto che di marchi nel caso l'argomento riguardi le aziende, le meteore ci sono sempre state e, probabilmente, sempre ci saranno. Il comparto delle due ruote non fa eccezione e sono state innumerevoli, le comparsate di brand che si sono affacciati alla ribalta, a volte addirittura con un solo modello, per poi tornare nell'oblio.
Tra le tante c'è la Silk. Fondata alla fine degli anni '60 da George Silk e Maurice Patey nel Derbyshire, in Gran Bretagna, si dedicò inizialmente alla realizzazione di special per gare in salita, utilizzando motori Scott e telai Spondon. L'appetito vien mangiando e, tra una pinta di whisky ed una botte di birra (?!?), il buon George disse al socio di contare i pezzi in giro per l'officina perché di lì a poco li avrebbe messi in uno shaker e mischiati per costruire una moto da strada.
Patey evidentemente ubbidì e nacque così la Silk Engineering, che di sofficità come la seta non ne aveva nemmeno se la si fosse guardata con Hubble. L'azienda lavorava il duro metallo, producendo parti speciali ed offrendo servizio di assistenza per i possessori di moto Scott. Realizzare un mezzo proprio richiedeva un discreto tonnellaggio di ghinee e sterline varie e quello era il sistema che i due avevano scelto per raggiungere l'obiettivo.
Le cose ai due soci andarono evidentemente bene, perché dal 1970 in cui venne partorita l'idea, passò un anno e, al Racing and Sporting Motorcycle Show di Londra del 1971, la Silk Engineering presentò il prototipo della sua moto, sempre equipaggiata con propulsore Scott. Furono raccolte alcune decine di ordini. Pochi? Bene… sappiate allora che erano comunque troppi per le capacità produttive del neonato marchio.
Tra il '71 ed il '75 furono realizzati soltanto 21 esemplari, mentre gli altri clienti restarono dai vetri o quasi, dal momento che furono "spintaneamente" invitati a cercarsi il motore in autonomia. In tutto questo però, il buon George non aveva colpa. Lui di moto ne avrebbe assemblate anche più di quante Model T uscirono dagli stabilimenti del vecchio Henry Ford, ma chi aveva acquisito i diritti sui motori Scott la pensava diversamente e decise di non più fornirglieli.
A quel punto, come disse Giulio Cesare giocando a dadi con Pompeo, alea iacta est… e a Silk non venne in mente altra idea se non il costruirsi un proprio motore. Così, con l'aiuto di David Midgelow, che proprio uno scappato di casa non era, visto che faceva parte della divisione Engineering di Rolls Royce, di Gordon Blair, uno dei guru inglesi dei due tempi dell'epoca e di alcuni software ad hoc per i computer di quel periodo (che personal non lo erano ancora), arrivò anche l'ultima tessera del puzzle.
I nostri quattro eroi (Silk, Midgelow, Blair e quella mezza lavatrice del computer, ma non perché fosse un catrame, quanto piuttosto perché, 50 anni fa, erano quelle le dimensioni) lavorarono quattro anni e, nel 1975, la Silk 700S divenne realtà. Telaio in tubi e forcella sempre prodotti da Spondon e tutto il resto (salvo bulloni, prigionieri e poco altro) realizzato in casa da Silk.
La scheda tecnica urlava a gran voce di un bicilindrico due tempi di 653 cc ad iniezione, dotato di lubrificazione separata, raffreddato ad acqua e capace di 54 cavalli a 6000 giri. Una peculiarità era data dal sistema di raffreddamento, che non utilizzava una pompa dell'acqua, ma il semplice principio fisico del termosifone. Il liquido refrigerante che si trovava nelle camicie dei cilindri, venendo riscaldato dal calore del motore, saliva per convezione verso il radiatore attraverso un tubo di gomma.
Lì si raffreddava, aumentando la propria densità e, attraverso un secondo tubo, veniva convogliato nuovamente alla base dei cilindri per ricominciare il ciclo di raffreddamento. Ingegnoso, no? Le altre caratteristiche della Silk S700 erano il cambio a 4 rapporti, ruote anteriori e posteriori da 18 pollici e 140 kg di peso. Il cartellino del prezzo appiccicato sulla moto recitava 1355 sterline, più di qualsiasi altra moto concorrente dell'epoca ed appartenente allo stesso segmento.
La cifra era giustificata dal fatto che la 700S era di fatto una special stradale costruita artigianalmente. Silk, Midgelow, Blair ed il computer nel 1976 cedettero baracca e burattini alla Furmanite International Group, restando però in sella al progetto che, nel 1977 sembrava avviato verso una reale produzione di serie. La moto fu rivista in alcuni componenti e sparata fuori alla bella cifra di 1984 Lire Sterline… quelle coniate dalla zecca della regina Elisabetta II, per capirsi.
Rinominata in Sabre, la Silk 700S presentava il trascurabile problema di costare oltre il 50% in più della Suzuki GT 750, che aveva 17 cv in più e faceva oltre 30 km/h della nostra di velocità massima. La produzione e le vendite in ogni caso proseguirono, nel 1978 si arrivò al traguardo delle 100 moto costruite. Il tutto si trascinò almeno fino all'anno successivo, quando Silk si prese la briga di fare un analisi di costi, ricavi, guadagni… tutte cose che, normalmente, quando si ha a che fare con una azienda, dovrebbero essere la norma.
Non la sua, evidentemente. Il buon George scoprì così, con summo (si fa per dire) gaudio che, per ogni moto venduta, si originava una perdita di 200 sterline. Ce n'era abbastanza per piantarla lì, a quota 138 moto prodotte. Era il dicembre 1979 e, di lì a poco, le normative anti-inquinamento in predicato di arrivare (sì, già allora) ad inizio anni '80 e la crisi britannica di inizio decennio, con le misure draconiane prese da Margaret Thatcher, tolsero ogni residua speranza a Silk e compagni di poter far tornare in auge il loro sogno.
La Silk 700S rimase l'unico modello prodotto dalla casa inglese, che aveva in mente di estendere verso il basso la sua gamma con la 350 e la 500, rimasti allo stadio di prototipo, con l'ultima delle due che fu però in realtà l'ultima moto prodotta dal marchio, prima della cessazione definitiva dell'attività. Non troppo apprezzata nonostante la sua rarità, un esemplare vale oggi all'incirca 10-12 mila Euro.