Russia in moto – ep. 6: da San Pietroburgo alla Carelia

Gianluca Salina

Usciamo da San Pietroburgo e puntiamo a Nord-Est, verso la Carelia, con il Lago Onega e l’isola di Kiži come tappe intermedie e con Vologda come destinazione, ma non ci arriveremo, rischiando di dormire su una panchina! In nostro soccorso verrà l’Ufficio del Turismo della città russa e vissero tutti felici e contenti… per ora!

Siamo ancora frastornati ed ubriachi… no, non c'entrano nulla né la vodka, nè i famosi brindisi alla russa gettandosi il bicchiere alle spalle. La "colpa" è dei tre giorni passati a vedere le meraviglie di San Pietroburgo, una città la cui bellezza risulta difficile da descrivere. Servirebbero ancora giorni e giorni per almeno avvicinarsi al poter dire di aver visitato davvero la città, ma non c'è tempo.

Il principio è che ci si augura che il conflitto russo-ucraino finisca prima possibile e, con esso, embarghi, sanzioni et similia. In questo modo a San Pietroburgo sarà auspicabilmente di nuovo possibile arrivarci in aereo per un w-e lungo. Difficilmente invece si prenderà un volo per, invento, Petrozavodsk o Vologda. Non è che queste due città non abbiano aeroporti, quanto per il fatto che sono meno frequentate e conosciute rispetto all'ex-capitale dell'Impero Russo e, inevitabilmente, abbiano anche meno appeal sui turisti.

Se vi state chiedendo se i nomi di quelle altre due città io li abbia pescati a caso, la risposta è, curiosamente, no. Sono semplicemente due delle tre mete dei prossimi giorni, insieme all'Isola di Kiži, ergo sono (si fa per dire) preparato sull'argomento. Sveglia quindi presto, anzi, di più… alle 5.30. Ci attendono 430 km di strada (cantieri e meteo permettendo), ma soprattutto vogliamo evitare il traffico del mattino di San Pietroburgo ed arrivare a Petrozavodsk ragionevolmente in orario non troppo tardo.

L'obiettivo è essere a destinazione entro le 13.30, ora utile per prendere l'ultimo traghetto che collega la capitale della Carelia all'isola di Kiži. L'ora della levataccia non impedisce al marito di Evgenia, la nostra host, di venirci a salutare. Da antologia la sua espressione quando, entrando nel cortile dello stabile, mi trova seduto su una borsa laterale con guanti di lattice, un vecchio spazzolino da denti in mani, uno straccio ed una bottiglia di petrolio bianco (con noi fin dalla partenza dall'Italia) a fianco, mentre armeggio attorno alla moto.

Sto semplicemente pulendo la catena, per poi asciugarla e lubrificarla. L'ABC del buon o bravo (ma non certo bello, almeno nel mio caso) manutentore consiglia di fare questa operazione il giorno prima ma, siccome Giove Pluvio ha deciso di scaricare qualche milione di ettolitri di acqua, non mi resta che farlo la mattina stessa della partenza. Ok, maaa… perché fare una operazione del genere? Semplicemente per allungare la vita della catena.

Tutti i motoviaggiatori seriali sanno perfettamente che la marcia prolungata su fondi sterrati/sabbiosi comporta un accumulo di pulviscolo che, a contatto con il grasso della catena, forma una morchia altamente abrasiva. Le prime vittime di questo impasto malefico sono gli OR della catena stessa che, nel momento in cui se ne vanno a banane, consentono ad acqua ed umido di infiltrarsi, causando ruggine e parziali grippaggi delle maglie che, alla lunga, possono far rimanere a piedi. Meglio evitare, no? wink

Per tornare a noi, con il "dromedario", come alcuni amici chiamano la nostra moto, caricato as usual e rifornito di carburante, lasciamo l'isola Petrogradskaja che ci ha fatto da campo base in questi giorni. Percorriamo così le vie di una città che sta ancora stropicciandosi gli occhi dopo la notte, prima in direzione Sud-Est, per poi puntare decisamente verso Nord-Est.

Per i viali della metropoli voluta da Pietro il Grande il traffico è decisamente ridotto rispetto a quello che avevamo trovato entrandoci qualche giorno fa in un orario ben diverso. Il lungoNeva, intervallato da innumerevoli semafori, offre una spettacolare ed ultima vista sull'Incrociatore Aurora, illuminato dai primi raggi del sole mattutino e silenzioso simbolo della Rivoluzione Russa. Da un suo cannone fu infatti sparato il colpo che diede inizio ai moti del 1917. A chi interessa, la nave è visitabile.

Una trentina di km fuori da San Pietroburgo si passa sopra al grande fiume che attraversa Piter e, da qui, iniziano le rive del lago Ladoga, il bacino di acqua dolce più grande d'Europa. Sì, ma… grande quanto? Beh… pensate che ci starebbero dentro per intero il Lazio e tre volte il comune di Milanosurprise. Purtroppo la strada non offre mai una visuale sul lago perché, almeno in questo tratto della costa Est, corre sempre a 1.5-2 km dalle sponde, protette agli sguardi da foreste di betulle e conifere.

Ci proviamo in due o tre occasioni, a guadagnarne la riva, ma senza fortuna. Le stradine che imbocchiamo finiscono tutte per correre per km e km parallele a quella principale, senza apparentemente uno sbocco sul lago. I tentativi devono per forza essere a numero finito, perché la Spada di Damocle dell'orario del traghetto pende sinistramente su di noi. Con più tempo a disposizione, avremmo vinto la battaglia, ma a volte è meglio una onorevole ritirata… ergo, ad un certo punto, decidiamo di riprendere l'asfalto e puntare verso la meta di giornata.

Il percorso originario, elucubrato in una notte tempestos… ehm… vabè… prevedeva di passare dalla costa ovest. Questo significava non tanto allungare di 100 km, quanto piuttosto di aggiungere 2 ore e mezza alla durata, a causa di un itinerario evidentemente meno veloce. Next time anche in questo caso. Purtroppo non si può pensare di vedere ogni cosa di una nazione, ancora più sterminata come la Russia e vanno pertanto fatte delle scelte. Anche se l'asfalto corre via ragionevolmente rapido, le digressioni in caccia del Ladoga e, soprattutto le ormai immancabili deviazioni sterrate per via del rifacimento delle strade ci fanno arrivare a Petrozavodsk a ridosso del tempo limite.

A questo si aggiunge un buon quarto d'ora impiegato per capire che la location dove avremmo pernottato era esattamente dalla parte opposta dell'isolato dove ci trovavamo e dove Maps diceva essere la meta. Scaricati, o meglio, lanciati i bagagli in fretta e furia (dove dormiremo ve lo dico dopo… adesso siamo di fretta per prendere il traghetto! laugh), ci fiondiamo verso il porto.

Abbandonata la moto, assaltiamo la biglietteria dove, le tre impiegate presenti per un attimo devono aver pensato che dei trogloditi sbarcati da uno Stargate materializzatosi in zona avessero preso di mira il loro posto di lavoro. English? Niet, anzi… qualche parola ma, con due colpi di Google Translate siamo a cavallo, anzi no… siamo a terra, perché l'ultimo traghetto è partito e fino a domani non se ne parla.

Sconsolati, ci sediamo sul lungolago ed attacchiamo i panini che costituiscono il nostro pranzo. Nel pieno dell'attività divoratoria, ad Ale viene in mente di provare a chiedere a qualche barcaiolo se ci potesse portare a Kiži. Perché questa ostinazione? Semplice. Il dover andare l'indomani sull'isola manderebbe a pallino tutto il programma dei giorni a venire, prenotazioni dei pernotti comprese.

L'alternativa è rinunciare, ma l'opzione non è prevista. A spegnere i nostri entusiasmi ci pensano in ogni caso un paio di proprietari di imbarcazioni, che ci chiedono una cifra a metà tra l'astronomico ed il siderale per la traversata, alias 50 mila rubli a cranio (circa 500 Euro a testa) a fronte dei 3 mila rubli ciascuno del biglietto dell'aliscafo di linea. Penso che oltre a farmi condurre la barca, per quei soldi dovrebbero poi farmela portare via, ma non avrei spazio per sistemarla sopra al bauletto, ergo lascio stare…

Facciamo così un giro nei dintorni, inclusa una mezz'oretta di relax sulla spiaggia lì vicino. Ci sono 18 gradi, ma la gente è in costume e fa il bagno nel lago, la cui acqua è di un color marrone ruggine davvero poco invitante. Non è però né sporca, né inquinata. La colorazione è dovuta ai depositi di torba che ci sono sulle rive e sulle isole del Ladoga. Prima di tornare alla moto, diamo ancora una scorsa attorno e, dopo aver acquistato un cestino di fragole ed attraversato un piccolo parco, camminiamo a bordo lago, dove dei cartelli sui lampioni ci informano che c'è la connessione Wi-Fi gratuita lungo tutta la passeggiata.

Parallela a questo, una pista ciclabile e pedonale colpisce la nostra attenzione. Una fila interminabile di attrezzature e macchine da palestra sono a disposizione di chiunque le voglia usare. Ce n'è per più di 100 metri di lunghezza e su tre livelli diversi. Pesi, presse, cyclette, panche, vogatori, quadri svedesi e di tutto di più… roba da catalogo Technogym. Ognuno fa la sua routine di allenamento e poi ripone gli eventuali attrezzi al suo posto. Mi domando se da noi succederebbe lo stesso, ma decido di non provare a dare una risposta, perché questa forse non mi piacerebbe…

Senza più nessuna fretta, decidiamo di tornare all'ovile per prenderne pieno possesso e sistemarci. Si tratta di un monolocale a piano strada arredato in stile moderno, che viene ridotto in tempo zero nel solito accampamento di selvaggi che… australopitechi, levatevi proprio. Fatte detonare le valigie e borse di rito e sparso coscienziosamente il contenuto ogni dove, ammiriamo per un attimo (e profondamente orgogliosi) la nostra opera.

Il tutto mentre il sinistro sferragliare dentro la mia testa segnala che è già partito il ricalcolo per la giornata successiva, che impone necessariamente di attuare un piano B rispetto al previsto. La visita sull'isola di Kiži si porterà via mezza giornata e, nel momento in cui toccheremo terra sul molo di Petrozavodsk, avremmo (molto in teoria) ancora da fare 794 km belli fragranti, per una percorrenza prevista vicina alle 12 ore, roba che farebbe impallidire le due sonde Voyager.

Sono un divoratore di strada, oltre che di cibo, e 1000 km ed oltre in un giorno li ho fatti svariate volte, ma 800 in mezza giornata, in mancanza di autostrade ed in presenza di n cantieri (per n che tende ad infinito) com'è questa zona, mi fanno alzare le mani in segno di resa. PC alla mano, inizio la ricerca di una struttura lungo la strada, ritrovandomi ben presto con la stessa espressione disorientata del gatto di peluche "sogliolizzato" sullo schienale della sedia dove mi trovo. Inaspettatamente infatti, ci sono pochissime strutture ricettive nei 550 km che separano Petrozavodsk da Vologda. Trovo la cosa incomprensibile, dal momento che, specie fuori dalla città, si è immersi nella natura e la zona sdi presterebbe al turismo.

Chi ci darà una mano fondamentale a risolvere la situazione ci spiegherà poi in seguito che l'area tra le due città vede la presenza esclusiva di persone che vivono lì o che hanno una dacia (la casa di campagna dei russi), pertanto non c'è richiesta di location dove poter anche solo pernottare. In ogni caso, di queste poche, nessuna di quelle mappate sui portali russi che abbiamo imparato ad utilizzare ha posti disponibili per la notte di domani. Il neurone disperso nella mia scatola cranica è in loop e fuma nero come una locomotiva a gasolio scarburata, appena accesa ed alle prese con una salita del 35 per mille.

La fortuna però non aiuta solo gli audaci ma, a volte, va in aiuto anche degli altri. Tento così la carta dell'ufficio turistico di Vologda, il capoluogo dell'oblast in cui ci saremmo spostati. Trovo sul sito l'indirizzo email della responsabile dell'ufficio e le mando una mail, spiegando il problema. Mentre Ale ci immagina già a dormire su una delle panchine delle fermate degli autobus lungo la strada, io, da inguaribile incosciente, sono ottimista. Nell'immaginare la scena di noi due che trasformiamo la fermata dell'autobus in un B&B mi riesce difficile trattenere la risata… una prova durissima, ma la supero…

La sensazione di sicurezza che ho sperimentato in questi giorni in cui siamo in Russia, mi fa comunque pensare positivo. E poi, in fondo, la temperatura di notte non scende sotto i 10°C, ergo se anche ben dovessimo dormire su una panchina, non sarebbe un problema. Quest'ultima parte di ragionamento la tengo però per me, anche perché non credo che Ale apprezzerebbe laugh. Dopo aver dato un posto alla moto, sistemata a 20 metri da noi, dietro ad una vecchia LADA 1500 sw di cui non si può non riconoscere il DNA della FIAT 124 familiare, decidiamo di uscire nuovamente ad esplorare la città.

Petrozavodsk è un centro di poco meno di 300 mila abitanti ed è un insediamento industriale con una storia di lunghissimo corso. Tra i suoi edifici ci sono anche dei palazzi art nouveau che la distaccano un po' dallo stereotipo delle grigie città soviet a cui siamo abituati a sentire le narrazioni. In più, la sua posizione sulle sponde del Ladoga l'hanno resa un centro turistico e lo status di capitale della Carelia ha fatto il resto.

E' un luogo in cui andarci appositamente per trascorrerci in un weekend? Dipende. Io una chance, a città e hinterland, gliela darei. Il tempo scorre e, con avvicinarsi della sera, un sordo brontolio si fa sentire con sempre maggiore insistenza. E' la fame, che ci ricorda come non abbiamo ancora dato una risposta alla domanda che, dal brodo primordiale, attanaglia l'essere umano in qualunque parte del globo si trovi: "Si, maaa… cosa si mangia stasera?" Superato il momentaneo disorientamento, ci mettiamo in caccia di un supermercato ed approdiamo ad uno Spar.

All'ingresso, un cartellone indica che, nelle giornate del 7 e del 21 agosto, i pensionati hanno diritto ad uno sconto del 20% sulla spesa. Sono vecchio, ma non abbastanza… Ci muoviamo per le corsie dove, se non fosse per i prodotti differenti (e dalla vodka a prezzi inverecondamente bassi, in stile 4 € al litro), non si distinguerebbe da un market nostrano. Scrutiamo e perscrutiamo tutti gli scaffali, dove vediamo ovviamente cose a noi sconosciute, ma anche altre decisamente familiari, come i vari Kinder Pinguì, Fetta al Latte ecc della Ferrero (ma non c'era l'embargo? surprise).

Tra le corsie non mancano sterminati banconi del freddo con ogni sorta di animale marino surgelato, così come sugli scaffali i pesci essiccati, di ogni dimensione, forma e colore, sono presenti in gran numero. Con il malloppo alimentare in mano facciamo ritorno al campo base. La cena a base di pesce è buona per appestare l'appartamento ed i tre quarti della palazzina, ma tant'è. Dopo aver sperimentato per l'ennesima volta che le formule magiche di Gandalf non servono a far riempire in automatico le borse, lo facciamo a mano, quindi doccia e a letto con, ad attenderci, un domani che si annuncia pirotecnico.

Il mattino seguente un meteo spettacolare ci da il buongiorno. Percorriamo i 3 km che ci separano dall'imbarco, lasciamo la moto nel parcheggio adiacente (e gratuito) e saliamo su un aliscafo verde, zeppo di targhette con su scritto CCCP. Prodotto da Kometa e costruito negli anni '70, ha dei motori diesel che fanno un rumore per il quale ci si immaginadi stare viaggiando a Mach 2 quando, in realtà, la velocità di crociera è di 30-35 nodi (55-65 km/h).

A bordo, su una porta, un minaccioso cartello con una maschera NBC disegnata sopra, elenca una serie di immagini che, per come la pensiamo noi, raffigurano cose che non si possono fare durante la navigazione. Tra queste, alcuni oggetti di cui non capiamo bene la natura ed altri che si riconoscono benissimo come piatti e posate, bambini, scopa e paletta, cartacce. Il dubbio sulla interpretazione che stiamo dando al tutto inizia a venirci osservando il simbolo di una piccola betoniera e si fa sempre più grande con quello del gatto. Sono però i disegni dei contraccettivi e degli assorbenti femminili che ci illuminano.

Si tratta semplicemente della porta dei servizi igienici ed il cartello indica cosa non si deve gettare nei WC. Ci avranno davvero trovato dei gatti o delle betoniere dentro? Meglio non indagare… La traversata dura circa un'ora e 15 minuti ed è assolutamente tranquilla. Prima di salpare, anche senza fiatare, veniamo subito identificati come stranieri dal personale di bordo che, cortesemente, ci ripete le istruzioni e le informazioni in inglese dopo averle dette in russo. Preciso come un orologio svizzero, dopo 75 minuti l'aliscafo attracca a Kiži, in un contesto spettacolare.

Ci si trova proiettati da una realtà urbana delle dimensioni all'incirca di una nostra Firenze ad un'isola, che è anche parco protetto, dove l'unico mezzo a motore è un quad dei guardia parco mentre, per il resto, ci sono solo pedoni e biciclette. Kiži ha infatti l'aspetto di un piccolo paradiso lungo sette chilometri e largo 500 metri. La visita è libera, ma c'è la possibilità di acquistare i biglietti per accedere alla parte superiore della chiesa principale e del museo. Lungo un percorso fatto di sentieri sterrati si visitano le varie parti del villaggio, realizzato interamente in legno nel XVII, che è un sito UNESCO ed uno dei luoghi maggiormente visitati della Russia.

Le due perle sono la Chiesa della Trasfigurazione e quella dell'Intercessione, costruite una all'inizio del '700 e l'altra a metà secolo. Realizzate tutte in legno hanno, non solo per il materiale di costruzione, diversi punti in comune con le stavkirche del Nord Europa, anche se si differenziano da queste per il grande numero di guglie (18 e 9 nel caso delle due costruzioni che si trovano a Kiži).

Mentre ci spostiamo da un punto di interesse ad un altro, mi arriva un messaggio di Whatsapp. E' di Elena Udakina, la direttrice del centro turistico della regione di Vologda. Ha letto la mia mail e mi conferma che non ci sono strutture disponibili nei dintorni. Ha però anche contattato il centro turistico di Vytegra (che fa comunque parte dell'oblast di Vologda) mi farà sapere. Di lì a poco mi ricontatterà per indicare una sistemazione per la notte a circa 230 km da Petrozavodsk.

Non dormiremo su una panchina nemmeno stanotte!! Festeggiamo divorando l'insalata di cereali che ci siamo portati con noi, opportunamente raffreddate con delle piastre eutettiche (grazie Geopop per la definizione, io per decenni le ho chiamate ghiacci per frigo da campeggio). La signora Elena si rivelerà di una gentilezza e premura uniche. Nei messaggi successivi, oltre a fornire le coordinate delle destinazione, ci dirà anche che in quella zona non ci troveremo luoghi dove mangiare, consigliando quindi di acquistare cibo a Petrozavodsk o comunque da qualche parte prima di arrivare.

Il tour di Kiži volge al termine e dopo, un rapido giro in un negozio di oggetti tipici del luogo, risaliamo sull'aliscafo e, dopo essere sbarcati, partiamo subito. Abbiamo (manco a dirlo) sufficienti scorte di cibo, tali che non servirà un'altra visita ad un supermercato. Il cielo si sta chiudendo, ma la temperatura si mantiene sui 22-23 gradi, l'ideale, per viaggiare.

Sono le 15 e 30 e Maps indica circa 4 hr e mezzo per coprire la distanza. Le prime decine di km filano via lisce e sufficientemente rapide. La strada è il classico taglio tra i boschi della zona e con una corsia per senso di marcia che abbiamo imparato a conoscere arrivando fino a qui. Asfalto buono e traffico prossimo allo zero. Non faccio a tempo a chiedermi come sia possibile che, per fare 230 km di strada del genere servano 4 ore e mezzo che siamo fermi ad un semaforo, nel mezzo del nulla, per un cantiere stradale.

Scopriremo poi essere il primo di una interminabile serie. Anche in questa zona le strade sono in fase di ampliamento e rifacimento ed immagino sfruttino la stagione con il clima migliore per fare i lavori. Non saprò mai se la considerazione è corretta ma, in compenso, quello che so è che i tempi iniziano ad allungarsi e nemmeno poco, dal momento che si aggiungono anche delle deviazioni di strada, con lunghi tratti sterrati ed altri ciottolati che non permettono grandi velocità.

I più desiderabili sono proprio questi ultimi. Tranche di svariati chilometri (e per svariati intendo proprio svariati) di strada ghiaiosa, con, come costante, un fondo tòle ondulèe degno delle piste africane. Mi affretto a tarare l'elettronica di bordo (il mio polso dx) sulla base della grana della ghiaia, variando la velocità tra i 40 km/h in presenza di quella più grossa ed i 60 (a volte 70) con quella più fine ma, nonostante questo, non mancano alcune correzioni di anteriore che si potrebbero definire fragranti.

In una pausa do uno sguardo al telefono e vedo che Elena ci chiede come sta andando il viaggio. Le rispondo che siamo in ritardo rispetto al previsto causa lavori stradali e lei replica di non avere fretta, dal momento il gestore della struttura è già informato del nostro arrivo. Butto anche l'occhio su Maps, che mi indica le 21 circa come orario di fine viaggio. Ci rimettiamo in strada. Abbiamo perso 60 minuti sulla tabella di marcia, ma manca ancora il coup de theatre.

Sbuchiamo fuori di colpo dagli infiniti boschi che ci hanno accompagnato fino a quel punto per approdare in un villaggio e, ad un certo punto, la strada finisce dove c'è una sbarra a cui è appeso un cartello con la scritta STOP. Oltre quella, un fiume! No, aspetta… a destra è un fiume, ma a sinistra è un lago! E' sempre l'Onega, che abbiamo costeggiato per tutto il tragitto. Osserviamo meglio e vediamo che oltre la sbarra la strada termina con una blanda discesa in acqua.

Pork… è l'attracco di Voznesen'e!!! Ce n'eravamo dimenticati. Lì un traghetto consente di superare il fiume Svir'. Sono 450 metri che vanno necessariamente superati per mezzo di una imbarcazione, dal momento che via strada non si può. A Nord-Ovest infatti la strada finisce alcuni km più avanti, mentre ad Est/Sud-Est c'è il lago, che è legato a doppio filo a questo corso d'acqua.

Sì, perché lo Svir' è un tipo strano e non ha ancora deciso cosa fare da grande. Oltre ad essere l'emissario del lago Onega è anche il principale immissario del lago Ladoga e, di fatto, rappresenta il trait d'union tra i due più grandi laghi europei. Sulle sue rive, anche se molto più vicino al più grande dei due bacini lacustri, si trova anche il monastero di Aleksandr Svirskij.

Tornando a noi, ci liberiamo a fatica del punto interrogativo gigante che campeggiava sulle nostre teste e, sbirciando nei dintorni scorgiamo due porte bianche in legno messe in piedi e contenenti, tra gli altri, un palo con cartello che mostra una nave stilizzata. E' l'orario del traghetto e le porte fungono da cartello. In mezzo ai caratteri cirillici un elenco di numeri per i quali ci arrivo anche io (ma la cosa non era scontata) che sono le partenze da questa riva del fiume.

Controllo l'orologio, sono le 18.30 ed ovviamente il traghetto è partito alle 18.20. Aguzzando la vista, in effetti, un po' spostato verso sinistra rispetto a quello che ci si attenderebbe, si scorge la sagoma del traghetto che, lentamente, procede verso l'altra riva. Prossimo passaggio? Alle 20.00… bene, ma non benissimo. Arriva un'auto e si piazza diligentemente di fronte al cartello di stop. Sposto allora la moto e mi metto dietro a questa vettura, non tanto per la paura che si formi una coda chilometrica, quanto piuttosto per fare qualcosa per ammazzare il tempo.

Da una stradina laterale spuntano quattro signore, vestite con abiti tipici, che vanno anch'esse a consultare l'orario. Poi, piano-piano arriva altra gente, tra cui un nutrito gruppo di ragazzi in sella a motorini e moto di piccola cilindrata, max 125, con due di loro alle prese con qualche capriccio della loro due ruote. Siamo ovviamente gli animali strani del piccolo crocchio di persone (nel frattempo sono arrivate altre tre o quattro auto) che si è radunato in attesa che si compia la beata speranza dell'arrivo del traghetto.

Nessuno di loro parla inglese e si limitano ad alcuni gesti che mimano sorpresa per la distanza che abbiamo coperto per arrivare fino là. Sia io che Ale ci allontaniamo in esplorazione, con la certezza di non dover mettere alcunché sotto lucchetto, perché nessuno avrebbe toccato nulla e così in effeti è. L'atmosfera che si respira, in quel capannello di perfetti sconosciuti, è la stessa che traspare dai racconti di quanto accadeva nei piccoli centri delle nostre zone mezzo secolo fa ed oltre, quando le persone uscivano di casa per andare a parlare con i vicini lasciando le porte aperte delle proprie case, un qualcosa che oggi sarebbe inconcepibile.

Così come con molta flemma si era allontanato da noi, con altrettanta calma il traghetto torna indietro. D'altra parte deve portare persone e veicoli (max 10 tonnellate), non vincere una gara di off-shore. Prendiamo posto ed iniziamo la traversata, che dura una mezz'ora scarsa perché il percorso che viene fatto non è rettilineo, forse a causa di banchi di sabbia o ghiaia sul fondale.

Durante il viaggio rispondiamo ad un messaggio di Elena, che chiede se tutto sta procedendo per il verso giusto. Allo sbarco, facciamo un cenno di saluto ai giovani biker, che ricambiano e ci mettiamo in marcia verso la nostra destinazione di stasera. Per fortuna i cantieri sono un po' più radi, ma non mancano lunghi tratti sterrati, che non consentono di rosicchiare più di tanto sull'orario previsto da Google Maps.

Arriviamo poco dopo le 22 e troviamo una struttura immersa nella vegetazione e che ricorda, per certi versi, le nostre colonie estive. All'ingresso, la figura di tre animali illuminati da LED bianchi mi fanno tornare alla mente i Patronus di "harrypotteriana" memoria. Se mai fossi un mago, in questo momento il mio assomiglierebbe ad un piatto di cibo, ma questa è un'altra storia.

Mentre sono indaffarato nella antica ed oscura arte bagaglio-scaricatoria, vengo avvicinato da un signore sulla 40ina che mi chiede, in inglese, da quale parte dell'Italia arrivassimo. Scambiamo due parole mi dice di abitare a Nižnij Novgorod (una grande città a circa 900 km da lì) e di essere lì in vacanza con la moglie. Gli rispondo che la sua città è sul nostro percorso ed allora mi da due dritte su ciò che c'è da vedere.

Ci congediamo e passiamo a saluti e convenevoli di rito con il personale dell reception ed il trasbordo dei bagagli in camera. A fianco della rampa di scale, nella penombra, un sidecar Ural, uno dei simboli della mobilità dell'Unione Sovietica prima e della Russia poi. Gli do appuntamento al mattino successivo, dove potrò guardarlo meglio grazie alla luce del giorno. 

La camera è spaziosa ed ha un bollitore ma, essendo questo un hotel, non c'è un angolo dove poter cucinare. Poco male… attingiamo alla nostra riserva di scatolame et similia e ceniamo, non prima di aver avvisato (e ringraziato ancora una volta) e la nostra ormai amica Elena di essere arrivati. A Petrozavodsk avevamo preso del caviale in scatola e decidiamo che è tempo di fargli la festa.

Superata l'ultima barriera psicologico data dall'interrogativo "Il caviale non sarà troppo per noi?", apro. Con stupore mio e fastidio di Ale, scopriamo che non sono le classiche uova di storione, ma è patè. E pensare che era facile. Sarebbe bastato sapere il russo… Finisce comunque che la crema rosa al gusto di salamoia marina me la scofano praticamente tutto da solo, mentre Ale opta per un più rassicurante e tradizionale tonno, il tutto condito da verdura. A pancia piena una tisana chiude l'attività divoratoria.

Scendo un'ultima volta per sistemare la moto dove non da fastidio, anche se è un qualcosa di assolutamente inutile, dal momento che nel piazzale davanti all'ingresso (chiuso da cancello automatico) c'è solo la nostra cavalcatura e le due mountain bike dei turisti di Nižnij con cui abbiamo parlato prima. Sposto quindi il GS a lato del piazzale, più o meno in corrispondenza della zona dove domattina faremo colazione. Sarà un errore, anche se involontario… ed il perché lo capirete nel prossimo episodio!

Un paio di dati/info:

  • Pernottamento a Petrozavodsk: circa 32 €
  • Traghetto da Petrozavodsk all'Isola di Kiži (andata e ritorno): circa 30 € a testa
  • Pernottamento a Vytegra: circa 29 €
  • Km percorsi fino a qui: circa 3450

Gli episodi precedenti

 

I nostri compagni di viaggio

Abbigliamento: Spidi

Antipioggia: Scott e Tucano Urbano

Bauletto: Kappa

Borsa serbatoio: SW-Motech

Caschi: Caberg e HJC

Guanti: Alpinestars, Held, IXS e Spidi

Portacellulare: Givi

Prodotti manutenzione moto: WD 40

Stivali: Held e TCX

Underwear: SIXS

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