La sveglia presto caratterizza ogni viaggio in moto che si rispetti, e questo non fa eccezione. Oggi conto di arrivare a Douz verso il primo pomeriggio, e fermarmi in uno dei posti più affascinanti della Tunisia del sud: il letto del lago salato di Chott El-Jerid.
Partiamo in ordine sparso, e subito mi fermo a fare delle foto su quello che sembra un passo di montagna, caratterizzato da un contorno desertico, con molta sabbia e qualche arbusto, roccia e cielo terso.
L’orizzonte azzurro però, è sporcato strane fumate nere che si riveleranno essere delle sorte di “inceneritori” di immondizia, in cui, a giudicare da odore e colore, immagino che brucino anche gomme di auto e camion. Sembra incredibile, ma ne ho conferma quando scorgo degli individui del luogo gettare con noncuranza in questo calderone le carcasse di molte gomme. Altra assurda contraddizione di questo incredibile paese che vive tra tradizione e modernità.
La strada sale, come nei nostri passi di montagna, ma qui non ci sono alberi, costruzioni o altro, solo molte rocce, sabbia e distanze per noi abissali. L’aria è pulitissima, la visibilità si estende per molti km ed il paesaggio privo di costruzioni e di picchi rilevanti permette allo sguardo di rivolgersi molto lontano. Guidare cosi è proprio un piacere, la strada, sembra sempre poca, dovrebbe estendersi per maggiori distanze per permettere di godere a pieno di questi luoghi.
Incontro per strada il compagno di viaggio Gigi, sul suo Ktm 1290 ed insieme ci dirigiamo verso le Oasi di Mides, a poche centinaia di metri dal confine Algerino. Il paesaggio è caratterizzato da gole e canyon, al cui loro interno spiccano delle oasi verdeggianti composte da centinaia di palme e diverse costruzioni in legno. I colori sono quelli della terra in tutte le sue sfumature, e poi c’è la bellezza dell’azzurro terso del cielo.
Mides sembra sospesa sul canyon scavato nei millenni dai torrenti fluviali: tre chilometri intarsiati di roccia curva e sfumata, che formavano la difesa naturale del borgo originario.
Quelli che ho davanti ai miei occhi, infatti, sono i resti sopravvissuti alle improvvise inondazioni che nel 1969 hanno distrutto le case di fango secco del villaggio. Sopra il burrone è stato costruito un nuovo insediamento: poco più di un paio di case bianche, sparse in mezzo alla collina sterile.
Lasciamo le moto sotto la custodia del nostro furgone di 77 Roads e ci addentriamo in una delle gole, dove la temperatura è decisamente fresca rispetto alle zone pianeggianti.
Il fondo della gola secca è sabbioso, e le pareti di roccia irregolare, hanno molti strati di pietra simili al marmo. A una estremità, una piccola sorgente d’acqua regala piccoli palmeti con un gran numero di specie vegetali.
C’è da camminare una buona mezzora e fare un giro ad anello, facendo un saliscendi di sentieri per godere della bellezza del paesaggio, tra la gola, i resti di insediamenti risparmiati da una delle storiche alluvioni ed i pochi mercatini tipici della zona. La temperatura è ottima, ci saranno 24 gradi ed una brezza secca che asciuga il poco sudore sotto il sole.
Cammino, giro per la gola gustandomi il panorama, in un silenzio quasi tombale rotto, solo ogni tanto, da qualche rumore dei pochi animali presenti e da qualche raro turista che urla nella sua lingua.
L’appuntamento con gli altri del gruppo, è verso una delle tante oasi sparse sul territorio, dove ci attenderà un pranzo sotto le palme, stesi su tappeti tipici tunisini, dopo aver visitato una delle tante sorgenti d’acqua che sgorgano dalle montagne.
La temperatura ora è perfetta, ci sono circa 20 gradi, la luce del sole che caratterizza questi posti si intuisce a pelle che è molto diversa dalla nostra, è come se arrivasse da più direzioni. Anche se siamo a fine aprile, il sole scotta parecchio i lembi di pelle lasciati fuori dall’abbigliamento da moto.
Finalmente arrivo verso Tozeur, paese che si affaccia direttamente sul lago Chott el Jerid. Esso in origine era sorto come antico insediamento al crocevia di alcune vie di comunicazione. Non merita, a mio avviso, particolari attenzioni, se non fosse per il passaggio obbligato per entrare nel lago salato Chott, il quale, dopo poco, fa la sua comparsa. E’ un lago salato in secca, dove le scaglie di sale luccicano alla luce del sole donando uno spettacolo unico alla vista.
Per arrivare al lago si percorre una strada desolata lungo un bacino lagunare, che si apre dietro una curva, con delle indicazioni che vi fanno capire che non ci sarà benzina per i successivi 60 km.
Il nastro di asfalto che percorrete di colpo si butta dentro quella che è una lastra di sale a perdita d’occhio. Viaggiando a 80 km all’ora, in 3-4 secondi ci sei dentro, la strada è rialzata di qualche metro e tutto intorno il nulla, se non una distesa di sale bianco misto a tratti a terra marroncina/rossiccia .
Intorno a te e alla tua moto c’è il nulla, per 40 km circa. Ad un certo punto, senza indicazioni (occorre saperlo a GPS altrimenti non si vede e si passa oltre), si scorge una rampa di terra che scende nel Chott; da lì si arriva alla carcassa di un autobus abbandonato a circa 2 km dalla strada, che stranamente è diventato meta di turisti, motociclisti e macchine che passando in zona vogliono visitarlo.
Trovo un italiano che scorrazza in bicicletta (!) che poi rincontrerò a Tunisi all’imbarco, scambiamo qualche battuta ed un saluto, e mi racconta che sta facendo con sua moglie un viaggio in Jeep con mini-roulotte al seguito.
Sono arrivato sul mitico lago salato in secca, non posso farmi sfuggire l’esperienza unica di guidare la moto navigando sul sale, come fosse un motoscafo libero in mezzo al mare, tutto senza strade, sentieri, o impedimenti, ma mi accorgo che 50-60 km all’ora sembrano un limite invalicabile per la moto, che oltre non sembra voler andare. Non mi interessa spingerla oltre e mi godo l’esperienza unica.
Mi fermo, spengo la moto alzo lo sguardo all’orizzonte e mi guardo intorno. Ascolto il silenzio, le distanze in questi spazi vuoti quasi disorientano noi occidentali, il bus è solo a qualche centinaia di metri da me ed il silenzio è imperante. Percepisco sulla pelle una lieve brezza, il sole è alto, l’aria si muove sopra ai granelli di sale facendoli luccicare, rimango ad osservare questo paesaggio per noi insolito per una manciata di minuti di un tempo che qui pare dilatato, che è più grande di me.
Poi l’incanto finisce, torno verso la strada ed il viaggio prosegue.
Sulla strada per Douz incontro un assembramento di persone, credo sia una manifestazione per protestare contro l’attuale governo. Hanno bloccato dei camion in mezzo alla strada e non si passa, durerà per un paio d’ore. Decido allora di ricongiungermi agli altri del gruppo e insieme troviamo una strada alternativa per aggirare il paese, passando tra palmeti e tratti di Chott. Arriviamo in hotel verso le 20 di sera al tramonto.
In hotel cerco una pompa dell’acqua per lavare via quanto più sale possibile dalla moto. Nel paracoppa vedo 3-4 cm di sale letteralmente incrostato che non vorrei lasciar lì troppo a fare corrosione, e gentilmente il guardiano del parcheggio mi passa una canna dell’acqua per una sciacquata veloce alla moto prima di cena.
La giornata, emozionante ed intensa, mi lascia stanco nel fisico e ricco nello spirito, mentre il sonno prende il sopravvento abbondantemente prima della mezzanotte.
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